La Separazione giudiziale: Studio Legale Santini

Ai sensi dell’articolo 150 del codice civile come modificato dall’articolo 32 della Legge del 19.05.1975 n. 151 la separazione tra i coniugi può essere giudiziale o separazione consensuale.

La separazione di tipo giudiziale può essere chiesta, quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all'educazione della prole.
A differenza della separazione consensuale, la separazione giudiziale implica l'instaurarsi di una vera e propria lite giudiziale.
Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e solo se ciò sia richiesto da uno dei coniugi o da entrambi, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.
Peculiarità della separazione giudiziale, è pertanto la possibilità dell'addebito della separazione ad uno dei coniugi.
E' infatti possibile che uno dei coniugi chieda espressamente al Tribunale di dichiarare l'altro coniuge come unico responsabile del fallimento coniugale. Diversi sono i comportamenti ed i fatti che possono portare all'addebito di una separazione. Prescindendo da evidenti ipotesi di comportamenti contrari ai doveri matrimoniali, come violenze domestiche, commissione di reati da parte di un coniuge nei confronti dell'altro, vi sono altri comportamenti che pur non trovando espresso riferimento in supporti normativi, vengono valutati dai Tribunali per l'addebito della separazione; tra questi ricordiamo le vessazioni psicologiche, il rifiuto nell'esercitare l'atto sessuale, l'estrema gelosia, l'atteggiamento del coniuge più facoltoso che fa mancare all'altro i mezzi di sostentamento, ecc.

Come affermato dalla Giurisprudenza della Corte di Cassazione, la nuova disciplina della separazione giudiziale dei coniugi, introdotta con la riforma del diritto di famiglia di cui alla legge 19 maggio 1975 n. 151, ha disancorato l'addebitabilità della separazione stessa da ipotesi tipiche e tassative di colpa ed ha ampliato il campo di indagine, per la ricerca delle responsabilità della rottura del consorzio coniugale, con riferimento all'intera area dei doveri nascenti dal matrimonio. Pertanto, il giudice del merito, richiesto di dichiarare a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, ancorché accerti a carico di uno di essi un comportamento di per se idoneo a costituire causa dell'impossibilità di prosecuzione della convivenza, non può esimersi, indipendentemente dalla proposizione di istanze di mantenimento, dal prendere in esame globalmente e comparativamente i comportamenti di ciascuno dei due coniugi, al fine di individuare quali possano trovare giustificazione in fatti od atti dell'altro coniuge, e quali, invece, privi di tale giustificazione, vadano ascritti a titolo di responsabilità per l'indicata frattura.
All’esito del giudizio di separazione giudiziale, il giudice dichiara inoltre a quale dei coniugi sono affidati i figli. In particolare il provvedimento del Giudice stabilisce il quantum e le modalità con cui il coniuge non affidatario deve contribuire al mantenimento, all'istruzione e all'educazione dei figli.

Il coniuge cui sono affidati i figli, salva diversa disposizione del giudice, ha l'esercizio esclusivo della potestà su di essi, ma le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i coniugi. Il coniuge cui i figli non siano affidati ha comunque il diritto e il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può sempre ricorrere al giudice, quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse.
Il Giudice nel provvedimento che definisce il giudizio di separazione giudiziale, disporrà anche in relazione all’assegnazione dell’abitazione familiare che spetterà di preferenza, al coniuge affidatario dei figli.
In merito al mantenimento del coniuge più debole, l'art. 156 del codice civile come sostituito dalla legge 151/1975 stabilisce che: “Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione, il diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri”.
Il presupposto fondamentale per il diritto al mantenimento è pertanto la non addebitabilità della separazione. Il coniuge al quale venie addebitato il fallimento del rapporto coniugale, non ha diritto ad ottenere dal coniuge più forte economicamente quelle somme che gli consentirebbero di mantenere lo stesso tenore di vita che conduceva in costanza di matrimonio.
Il venire meno del diritto al mantenimento non pregiudica comunque l’eventuale diritto agli alimenti a cui ha sempre diritto il coniuge che versa in stato di bisogno, così come sancito dagli articoli 433 e seguenti del codice civile.

L'entità della somministrazione del mantenimento è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi del coniuge obbligato.
Come stabilito dalla corte di Cassazione in sentenza 1981, n. 6396: “L'entità dell'assegno di mantenimento in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione va determinata non soltanto in relazione ai redditi del coniuge obbligato, ma a tutte le sue sostanze, compresi i cespiti patrimoniali improduttivi di reddito, i quali, servono di riferimento per determinare il contenuto dell'obbligo di ciascun coniuge di contribuire ai bisogni della famiglia.”

Per i coniugi separati o in corso di separazione la legge lascia comunque sempre aperta l’ipotesi riconciliativa. Infatti essi possono di comune accordo far cessare gli effetti della sentenza di separazione, senza che sia necessario l'intervento del giudice, con un’espressa dichiarazione o con un comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione.


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