Assegno Divorzile: Studio Legale Santini

L'assegno divorzile è stato introdotto con la legge 898 del 1970; l'articolo 5, così come modificato dalla L. 74 del 1987.

Innanzitutto occorre chiarire che il quantum dell'assegno divorzile è determinato in base a criteri autonomi e distinti rispetto a quelli rilevanti per il trattamento economico del coniuge separato (Cass. Civ. 20.01.2006 n. 1203). Quindi, ai fine della quantificazione dell’assegno divorzile, risulta essere del tutto irrilevante la misura dell'assegno di mantenimento determinata in sede di separazione, posto che i presupposti e le funzioni sono diverse (Cass. Civ. 09.05.2002 n. 6641).

A tale proposito, la Suprema Corte ha chiarito che "la determinazione dell'assegno di divorzio, alla stregua dell'art. 5 l. 1 Dicembre 1970 n. 898, modificato dall'art. 10 l. 6 Marzo 1987 n. 74, è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti, per accordo tra le parti e in virtù di decisione giudiziale, in vigenza di separazione dei coniugi, poiché, data la diversità delle discipline sostanziali, della natura, struttura e finalità dei relativi trattamenti, correlate e diversificate situazioni, e delle rispettive decisioni giudiziali, l'assegno divorzile, presupponendo lo scioglimento del matrimonio, prescinde dagli obblighi di mantenimento e di alimenti, operanti in regime di convivenza e di separazione, e costituisce effetto diretto della pronuncia di divorzio, con la conseguenza che l'assetto economico relativo alla separazione può rappresentare mero indice di riferimento nella misura in cui appaia idoneo a fornire elementi utili di valutazione" (Cass. Civ. 11.09.2001, n. 11575).

Per meglio comprendere l’istituto dell’assegno divorzile, è utile fare un passo indietro, e analizzare le principali teorie in vigore prima della legge 74 del 1987.

È con la novella del 1987 che la giurisprudenza cambia radicalmente orientamento e ciò in conseguenza all'affermazione della natura esclusivamente assistenziale dell'assegno divorzile.
Si sancisce una radica indisponibilità preventiva dei diritti economici conseguenti allo scioglimento del matrimonio, con un itinerario argomentativo decisamente vasto (Cass. Civ. 20.03.1998 n. 2945; Cass. Civ. 11.06.1997 n. 5244; Cass. Civ. 07.09.1995 n. 9416; Cass. Civ. 28.10.1994 n. 8912) .

Un problema particolarmente interessante ed attuale è quello relativo all'applicabilità in via analogica di quanto disposto da tale comma in caso di convivenza more uxorio.

Venendo al comma 8 dell'art. 5 L. 898/70, così come modificato dall'art. 10 L. 74/87, esso dispone che "su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal Tribunale.

In tal caso non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico". La previsione, in alternativa di una corresponsione mensile soggetta a rivalutazione periodica, di un assegno una tantum, era già presente nella legge del 1970 ma, con la novella del 1987, viene inserita in un comma autonomo. Il testo originario dell'art. 5, al comma 4 prevedeva che, su accordo delle parti, la corresponsione dell'assegno divorzile poteva avvenire in una unica soluzione. La novità maggiore apportata dalla novella del 1987 riguarda l'introduzione dell'inciso "ove questa sia ritenuta equa dal Tribunale". Il legislatore ha ritenuto necessario, quindi, un controllo giudiziale sull'entità dell'assegno divorzile in una unica soluzione, una sorta di omologazione da parte del Tribunale. Non è più, quindi, sufficiente il solo accordo delle parti: una volta raggiunta una soluzione pattizia, gli ex coniugi devono necessariamente sottoporre la stessa al vaglio del Tribunale.

Laddove però il Giudice, anche sulla base di una valutazione equitativa, dia il proprio assenso, il coniuge beneficiario non potrà vantare ulteriormente diritto alcuno di stampo patrimoniale e non, attesa la cessazione, per effetto del divorzio, di qualsiasi rapporto con l'ex coniuge (Cass. Civ. 27.07.1997 n. 7365).

Il comma 9 dell'art. 5 dispone che "i coniugi devono presentare all'udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni, il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria". Quindi, sono le parti, in rispetto del principio di leale collaborazione, a dover fornire al Tribunale gli elementi reddituali necessari per poter determinare correttamente il quantum dell'assegno divorzile. La prova del reddito può essere data, oltre che con la documentazione prevista dalla norma stessa, con qualsiasi mezzo, compresa la presunzione (Cass. Civ. 23.01.1996 n. 496). La dichiarazione dei redditi, quindi, costituisce solo uno degli strumenti attraverso i quali il giudice può determinare il proprio convincimento, sia pure privilegiato dalla legge (Cass. Civ. 09.05.1997 n. 4067).

Lo stesso comma prevede anche poteri istruttori d'ufficio, previsti per soddisfare al meglio le finalità pubblicistiche sottese alla domanda sull'assegno divorzile e per evitare che questa venga respinta quando il richiedente non riesca a dimostrarne il buon fondamento (Cass. Civ. 03.07.1996 n. 6087).

Naturalmente tali poteri rimangono comunque subordinati alla disponibilità delle parti: è necessaria la contestazione mossa da un coniuge circa la sufficienza e la veridicità, ai fini della decisione, della documentazione presentata dall'altro coniuge. Ne consegue che l'acquiscenza della parte interessata, che non contesti le risultanze e la completezza di detta documentazione, preclude alla medesima di dedurre in sede di impugnazione il mancato uso di tali poteri da parte del Tribunale (Cass. Civ. 08.11.1996 n. 9756). Se, comunque, il giudice ritiene che gli elementi forniti dalle parti siano sufficienti per una valida ricostruzione delle loro situazioni reddituali, non è tenuto, anche in caso di contestazioni, ad utilizzare tali poteri istruttori ufficiosi, che restano quindi nella totale discrezionalità dell'organo giudicante, trattandosi di un potere - dovere del tribunale. (Cass. Civ. 10.08.2001 n. 11059; Cass. Civ. 15.01.1999 n. 370; Cass. Civ. 26.05.1999 n. 5095).

Avv. Matteo Santini


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